ANCHE LA GUERRA HA LE SUE LEGGI

ANCHE LA GUERRA HA LE SUE LEGGI


Lune­dì 28 mag­gio, al grup­po dei ragaz­zi del­le Supe­rio­ri (la Filo­te­ca) è inter­ve­nu­to l’ing. Gian­car­lo Bel­lo­ni, ami­co da sem­pre del­la Pic­cio­let­ta Bar­ca e gran­de aman­te del­la sto­ria. Ci ha rac­con­ta­to di come, per quan­to para­dos­sa­le pos­sa appa­ri­re, per­si­no il caos del­la guer­ra ha avu­to, nel­la lun­ga sto­ria dell’Occidente, le sue leg­gi. E di come, qual­che rara vol­ta, abbia­no per­si­no funzionato… 

Una defi­ni­zio­ne di leg­ge che vi propon­go è que­sta: l’insieme del­le nor­me sta­bi­li­te dagli uomi­ni per la con­ser­va­zio­ne e l’ordine del­la con­vi­ven­za. A par­ti­re da que­sta defi­ni­zio­ne vor­rei pro­va­re a par­lar­vi della leg­ge nel con­te­sto del­la guer­ra, cioè il ten­ta­ti­vo di met­te­re ordi­ne nel caos. Vor­rei far­lo a par­ti­re dal­la sto­ria del­le leg­gi. Una pre­mes­sa dove­ro­sa è che vi par­le­rò uni­ca­men­te di sto­ria dell’Europa e in par­ti­co­la­re dell’Italia. Di altre cul­tu­re non so abba­stan­za per poter­vi dire qual­co­sa di sensato. 

Par­tirò dal medioe­vo, però c’è un illu­stre pre­ce­den­te che rac­chiu­de in sé già mol­ti degli aspet­ti che vedre­mo: si trat­ta della Tre­gua olim­pi­ca. I gio­chi olim­pi­ci anti­chi si ten­ne­ro dal 776 al 393 d.C.; la tre­gua si esten­de­va a tut­ta la Gre­cia per chiun­que par­te­ci­pas­se alle gran­di feste e ai gio­chi nazio­na­li; in teo­ria dove­va­no esse­re sospe­si tut­ti i con­flit­ti e tut­ti pote­va­no attra­ver­sa­re ter­ri­to­ri nemi­ci per recar­si ad Olim­pia. Il pun­to più bas­so ci fu nel 364 a.C. quan­do si veri­fi­cò uno scon­tro arma­to tra i Pisa­ti­di (di Pisa) e gli Elei (di Elis) che si con­ten­de­va­no l’organizzazione dei gio­chi stes­si, che avven­ne pro­prio nell’area e nei gior­ni dei giochi.
Duran­te l’Impero Roma­no le cose furo­no tut­to som­ma­to sem­pli­ci: la dichia­ra­zio­ne di guer­ra e l’in­ve­sti­tu­ra sacra del bel­lum con­fe­ri­va il dirit­to del vin­ci­to­re a depre­da­re i beni del nemi­co (prae­da bel­li­ca), a ridur­re i super­sti­ti in schia­vi­tù e a ucci­de­re in caso di neces­si­tà (iure cae­sus).
Il medioe­vo fu, inve­ce, un tem­po par­ti­co­lar­men­te inte­res­san­te per il nostro tema. Cer­to, di fron­te a un perio­do di mil­le anni, si rischia sem­pre di par­la­re con poca pre­ci­sio­ne. La guer­ra nel medioe­vo era una situa­zio­ne qua­si per­ma­nen­te, fu il modo più comu­ne per affron­ta­re dispu­te tra pote­ri diver­si. Per dare un’idea, Car­lo Magno in 46 anni di regno (pri­ma come re dei Fran­chi poi come re dei Lon­go­bar­di e poi come impe­ra­to­re dei roma­ni) ha fat­to 44 spe­di­zio­ni mili­ta­ri. La dis­so­lu­zio­ne del pote­re cen­tra­le (quel­lo roma­no) ali­mentò con­flit­ti spar­si, soli­ta­men­te però sen­za odio e sen­za mas­sa­cri, ma che impli­ca­va­no comun­que enor­mi pro­ble­mi per la popo­la­zio­ne, seb­be­ne per lo più in via indi­ret­ta: requi­si­zio­ni, sac­cheg­gi, deva­sta­zio­ni, care­stie, e epidemie.
La Chie­sa (uni­ca auto­ri­tà in qual­che modo super par­tes) cercò più vol­te di affron­ta­re il pro­ble­ma. Ne nac­que­ro alcu­ni movi­men­ti, come la Tre­gua di Dio, la Pace di Dio, Lan­d­frie­den. Dal­l’­XI seco­lo si dif­fu­sero in tut­ta l’Eu­ro­pa occi­den­ta­le per soprav­vi­ve­re in una qual­che for­ma fino al XIII seco­lo. Di fat­to si san­ci­va­no tem­pi (dome­ni­ca, gior­ni di festa, perio­di litur­gi­ci, ma anche gior­ni di fie­ra) e luo­ghi (chie­se, mona­ste­ri, ospi­zi, mer­ca­ti) e cate­go­rie di per­so­ne (chie­ri­ci, pel­le­gri­ni) che dove­va­no esse­re rispar­mia­ti dal­la guer­ra. Fun­zio­narono? Sì e no… Sap­pia­mo che il rifu­giar­si in chie­sa è rima­sta una solu­zio­ne per lun­go tem­po (come Fra Cri­sto­fo­ro, nei Pro­mes­si Spo­si, che si rifu­gia in con­ven­to) ma la bat­ta­glia di Bou­vi­nes fu com­bat­tu­ta il 27 luglio 1214, domenica.
Nel medioe­vo, comun­que, la guer­ra è fat­ta soprat­tut­to dai cava­lie­ri, signo­ri a caval­lo che si rico­no­sco­no tra loro. La neces­si­tà di argi­na­re la vio­len­za dei cava­lie­ri è for­se anche ciò che sog­gia­ce ad alcu­ni feno­me­ni cul­tu­ra­li, come l’idea­le del cava­lie­re difen­so­re dei pau­pe­res (non tan­to i pove­ri quan­to i disar­ma­ti), il mona­co-cava­lie­re, il cro­cia­to (com­bat­te nemi­ci ester­ni alla cri­stia­ni­tà). Alcu­ne rego­le, inve­ce, sor­se­ro spon­ta­nee, per esem­pio il rispet­to per i pri­gio­nie­ri (che ser­vi­va­no soprat­tut­to per riscuo­te­re un riscat­to). Il rispet­to vie­ne meno, però, quan­do i com­bat­ten­ti non si rico­no­sco­no tra loro, per esem­pio quan­do cava­lie­ri sono abbat­tu­ti da fan­ti. Nel­la bat­ta­glia di Cour­trai, dell’11 luglio 1302, l’esercito del re di Fran­cia Filip­po il Bel­lo (cir­ca 3000 cava­lie­ri e 4000–5000 fan­ti in appog­gio) fu scon­fitto dal­le mili­zie comu­na­li fiam­min­ghe (cir­ca 10.000 fan­ti), che fece­ro cir­ca 1000 mor­ti. I fan­ti, evi­den­te­men­te, pre­fe­rivano il bot­ti­no imme­dia­to al riscat­to.

Tra diver­si, tra per­so­ne che non si rico­no­sco­no, la guer­ra non ha mai rego­le: così avvie­ne nel­le le guer­re civi­li (cia­scu­no vede nell’altro un tra­di­to­re), nelle guer­re ideo­lo­gi­che, e in par­ti­co­la­re, nel con­te­sto euro­peo, nel­le le guer­re di reli­gio­ne.

La spe­cu­la­zio­ne teo­lo­gi­ca, filo­so­fi­ca e giu­ri­di­ca, portò per­si­no alcu­ni auto­ri ad affron­ta­re aper­ta­men­te il tema del dirit­to alla guer­ra (quan­do una guer­ra è giu­sta?) e del dirit­to nel­la guer­ra (come si può con­dur­re la guer­ra in modo giu­sto?). Si pose­ro così le basi di quel­lo che diven­te­rà il dirit­to inter­na­zio­na­le. Alcu­ni esem­pi di testi poi diven­ta­ti fon­da­men­ta­li: Gio­van­ni da Legna­no, De bel­lo, de repre­sa­liis et de duel­lo (1360); Hono­ré Bonet, Arbre desbatail­les (1481); Fran­ci­sco Sua­rez, Dispu­ta­tio De Bel­lo (1600 cir­ca); Hugo de Groot (Ugo Gro­zio), De jure bel­li ac pacis (1625).
Un caso par­ti­co­la­re è rap­pre­sen­ta­to dall’assedio. Da sem­pre l’assedio (di un castel­lo, ma più spes­so di una cit­tà) pre­ve­de rego­le pre­ci­se. Quan­do arri­va un eser­ci­to, la cit­tà può deci­de­re di acco­glier­lo in ami­ci­zia, in que­sto caso pro­ba­bil­men­te se la cava for­nen­do spon­ta­nea­men­te i rifor­ni­men­ti, sen­za ulte­rio­ri dan­ni. Ma se la cit­tà si chiu­de e si arri­va all’assedio, la con­sue­tu­di­ne pre­ve­de tre pos­si­bi­li solu­zio­ni: gli asse­dian­ti capi­sco­no di non far­ce­la, desi­sto­no e se ne van­no. Quan­do gli asse­dia­ti capi­sco­no di non far­ce­la e allo­ra si con­trat­ta­no i ter­mi­ni del­la resa (accor­di arti­co­la­ti in capi­to­li, da qui il ter­mi­necapi­to­la­zio­ne). Se inve­ce resi­sto­no a oltran­za, quan­do le dife­se cedo­no del tut­to gli asse­dian­ti han­no tre gior­ni per fare quel­lo che vogliono. 

Dopo le guer­re di reli­gio­ne dell’epoca moder­na, si pas­sa ad una lun­ga fase in cui la guer­ra tor­na ad esse­re una que­stio­ne tra pro­fes­sio­ni­sti, mol­to for­ma­liz­za­ta fino ad arri­va­re alla guer­re en den­tel­le, la guer­ra con i mer­let­ti del ‘700. A par­ti­re dal XVI° seco­lo ma soprat­tut­to dal XVIII°, entra­no in uso i cosid­det­ti car­tel­li che si sti­pu­lano in occa­sio­ne di que­sta o quel­la guer­ra, di que­sta o quel­la bat­ta­glia, per rego­la­re il trat­ta­men­to dei feri­ti o ilriscat­to pri­gio­nie­ri, e talo­ra anche per vie­ta­re l’impiego di cer­te armi. In que­sto perio­do si cer­ca di non coin­vol­ge­re la popo­la­zio­ne civi­le, si orga­niz­za la logi­sti­ca e la guer­ra assu­me qua­si un carat­te­re spor­ti­vo. Per esem­pio, si ricor­da lo Scon­tro di Lin­de­snes avve­nu­to il 26 e 27 luglio 1714 tra una fre­ga­ta dane­se e una fre­ga­ta sve­de­se, nell’ambito del­la gran­de guer­ra del nord per il con­trol­lo sul Mar Bal­ti­co. La fre­ga­ta dane­se Løven­dals Gal­lej (con fal­sa ban­die­ra olan­de­se) incon­tra la fre­ga­ta De Olbing Gal­ley che navi­ga con ban­die­ra ingle­se per­ché arri­va dai can­tie­ri nava­li ingle­si per esse­re con­se­gna­ta alla mari­na sve­de­se; la De Olbing ave­va una rego­la­re let­te­ra di cor­sa che le con­sen­ti­va di com­bat­te­re con­tro i nemi­ci dane­si-nor­ve­ge­si. Le fre­ga­te si avvi­ci­na­no, la Løven­dals issa la ban­die­ra dane­se, la De Olbing quel­la sve­de­se e ini­zia lo scon­tro che dura fino alla sera del 26 per ripren­de­re poi la mat­ti­na del 27. Dopo cir­ca quat­tor­di­ci ore, entram­be le navi risul­ta­no ormai gra­ve­men­te dan­neg­gia­te. A que­sto pun­to, il coman­dan­te del­la Løven­dals, a cor­to di muni­zio­ni, si avvi­cina alla De Olbing e invia un mes­sag­ge­ro con una let­te­ra per il coman­dan­te avver­sa­rio: nel testo, dopo aver rin­gra­zia­to per il bel duel­lo, si dice dispia­ciu­to di non poter con­ti­nua­re lo scon­tro a cau­sa del­l’e­sau­ri­men­to del­le muni­zio­ni e, anzi­ché arren­der­si, chie­de all’avversario un po’ del­le sue pal­le di can­no­ne, in modo da poter con­ti­nua­re la lot­ta. Non cono­scia­mo le per­di­te, però capia­mo mol­to sull’idea di guer­ra che ave­va­no allora. 

Tut­to cam­bia con le guer­re del­la Rivo­lu­zio­ne fran­ce­se e soprat­tut­to con Napo­leo­ne. Que­sta vol­ta gli eser­ci­ti sono enor­mi mas­se di uomi­ni: non pos­so­no più basar­si su una pro­pria logi­sti­ca e tor­na­no a “vive­re del ter­ri­to­rio”, cioè al sac­cheg­gio.

La svol­ta deci­si­va si ha dopo la famo­sa bat­ta­glia di Sol­fe­ri­no del 24 giu­gno 1859. Lo scon­tro avvie­ne nel con­te­sto del­la secon­da guer­ra d’in­di­pen­den­za ita­lia­na, tra l’e­ser­ci­to austria­co e quel­lo fran­co-pie­mon­te­se dal­l’al­tro. Alla bat­ta­glia è pre­sen­te Hen­ry Dunant, un uomo d’af­fa­ri sviz­ze­ro, che assi­ster alle sof­fe­ren­ze dei 40.000 feri­ti di entram­bi gli schie­ra­men­ti. Dunant si mobi­li­ta per assi­sterli e scri­ve Un ricor­do di Sol­fe­ri­no (1862) che man­da a tut­ti i sovra­ni d’Europa. Si arri­va così, tra­mi­te suo, a isti­tui­re la Cro­ce Ros­sa e, poco dopo, la Con­ven­zio­ne di Gine­vra del 1864 (per pre­ci­sio­ne: Con­ven­zio­ne per il miglio­ra­men­to del­le con­di­zio­ni dei mili­ta­ri feri­ti in guer­ra). La Con­ven­zio­ne segna la nasci­ta del dirit­to inter­na­zio­na­le uma­ni­ta­rio (DIU) o dirit­to bel­li­co o dirit­to dei con­flit­ti arma­ti, che anco­ra oggi cer­ca di met­te­re ordi­ne nel­le com­ples­se que­stio­ni lega­te alle vit­ti­me del­la guer­ra. Alla con­ven­zio­ne del 1864 ne sono segui­te mol­te altre che han­no affron­ta­to soprat­tut­to i dirit­ti dei non com­bat­ten­ti: feri­ti, mala­ti, nau­fra­ghi, pri­gio­nie­ri, civi­li.
Ecco alcu­ni prin­ci­pi fondamentali:

1. Rispet­ta­re, difen­de­re e trat­ta­re in modo uma­no tut­ti gli indi­vi­dui che par­te­ci­pa­no ad azio­ni di osti­li­tà, garan­ten­do assi­sten­za neces­sa­ria sen­za discriminazione.

2. Trat­ta­re uma­na­men­te i pri­gio­nie­ri di guer­ra, pro­teg­gen­do­li dal­la vio­len­za. In caso di pro­ces­so, garan­ti­re i dirit­ti di qual­sia­si nor­ma­le pro­ce­di­men­to giuridico.

3. Il dirit­to del­le par­ti all’u­so di meto­di o stru­men­ti di guer­ra non è sen­za limi­ti: è ille­ci­to inflig­ge­re sof­fe­ren­ze inutili.

4. Allo sco­po di evi­ta­re vit­ti­me tra i civi­li, le for­ze com­bat­ten­ti devo­no sem­pre fare distin­zio­ne tra popo­la­zio­ne e ogget­ti civi­li da una par­te, ed obiet­ti­vi mili­ta­ri dal­l’al­tra. Né la popo­la­zio­ne civi­le, né sin­go­li cit­ta­di­ni od obiet­ti­vi civi­li devo­no costi­tui­re il ber­sa­glio di attac­chi militari.

Cer­to, ci si dovreb­be chie­de­re: chi fa rispet­ta­re que­ste rego­le? Oggi esi­sto­no alcu­ni stru­men­ti: la Cor­te inter­na­zio­na­le di giu­sti­zia, fon­da­ta nel 1945, ema­na­zio­ne dell’ONU, che deri­me con­tro­ver­sie fra sta­ti in fun­zio­ne di arbi­tro. C’è poi la Cor­te Pena­le Inter­na­zio­na­le, fon­da­ta nel 2002, che deve giu­di­ca­re indi­vi­dui col­pe­vo­li di cri­mi­ni inter­na­zio­na­li: ha giu­ri­sdi­zio­ne nei 125 pae­si che ade­ri­sco­no, ma non negli altri (tra cui USA, Israe­le, Tur­chia, Rus­sia, Cina, Siria, Iran…); nei tem­pi recen­ti, abbia­mo sen­ti­to par­la­re di sen­ten­ze da que­sta cor­te, per­ché essa, seb­be­ne non abbia alcun pote­re su Rus­sia e Israe­le, ha giu­ri­sdi­zio­ne nei ter­ri­to­ri Pale­sti­ne­si e in Ucrai­na. Ma la fra­gi­li­tà di que­sti stru­men­ti è evi­den­te: la leg­ge può argi­na­re il caos anco­ra (e sem­pre) solo tra esse­ri uma­ni che si rico­no­sco­no reciprocamente.



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